IMPARARE A GALLEGGIARE – Le principali differenze nel percorso di specializzazione medica tra l’Italia e l’Inghilterra

Una volta conseguita la laurea in Medicina, un giovane medico deve completare un percorso di formazione per specializzarsi nella branca medica a cui è interessato. Gli studi universitari sono generalisti e forniscono una solida base di conoscenze ed un’infarinatura globale rispetto a tutti gli ambiti della medicina. Successivamente, una volta scelta la specializzazione, ciascun medico si concentrerà su una disciplina specifica: c’è chi farà il cardiologo, chi l’oculista o il chirurgo.

Il percorso di specializzazione, dettaglio spesso non noto a chi è estraneo all’ambiente, è un lavoro a tutti gli effetti, retribuito e che prevede o dovrebbe prevedere anche alcune ore di formazione oltre alle quelle numerose passate in ospedale.

Cercherò di tracciare a grandi linee le differenze nei percorsi di formazione tra il modello italiano e quello inglese, perché sono davvero enormi, sia a livello di durata che di strutturazione.

In Italia il sistema di specializzazione è impostato in maniera abbastanza semplice e dipende dalle Università. I medici, appena freschi di laurea, partecipano ad un concorso nazionale dove devono indicare le specialità che preferiscono: queste verranno assegnate in base al punteggio conseguito nell’esame. Pertanto, se un medico desidera diventare gastroenterologo e totalizza nel test un punteggio sufficientemente alto può assicurarsi un posto in gastroenterologia a Milano, potrà intraprendere la specialità nella branca preferita. La durata media della specializzazione in Italia è di 5 anni, al termine della quale si diventa specialisti. Il sistema italiano, cercando di semplificare, ha due momenti: dallo specializzando allo specialista.

In Inghilterra il sistema è molto più complesso e mi risulta sempre difficile spiegarlo a parenti e amici. La prima grande differenza è che dopo la laurea non si intraprende subito la formazione nella branca desiderata. Sono previsti due anni chiamati “Foundation programme” in cui il medico ha 6 rotazioni di 4 mesi in vari reparti. Lo scopo è quello di “gettare le fondamenta” della carriera stessa, apprendendo le nozioni basilari della professione che saranno utili qualsiasi campo di interesse si scelga in futuro. Solitamente si possono esprimere delle preferenze rispetto ai reparti in cui si desidera andare, ma sono previste, nella maggior parte dei casi, almeno una rotation in chirurgia, una in medicina interna e spesso anche una in un reparto acuto come il Pronto Soccorso.

Successivamente a questi due anni, si fa poi un’application per continuare nel percorso di formazione. A questo punto, semplificando molto, vi sono 2 tipi di strade che si possono intraprendere:

  1. Vi sono alcune specializzazioni più settoriali per le quali si fa un concorso di selezione specifico e si entra direttamente nel ramo desiderato. Queste prevedono una durata media dai 5 ai 7 anni e comprendono ad esempio pediatria, oculistica, ostetricia e ginecologia, radiologia, psichiatria.
  2. Per molte delle specializzazioni, prima di aver accesso alla scuola stessa, è necessario fare due o tre anni ulteriori di quello che si chiama “core training” ovvero un tronco comune propedeutico alla branca che si andrà ad intraprendere.

I percorsi di core training più scelti sono:

  1. CORE MEDICAL TRAINING, il tronco comune di medicina interna che permette poi l’accesso a tutte le specializzazioni mediche (come cardiologia, nefrologia e endocrinologia).
  2. CORE SURGICAL TRAINING, il tronco comune chirurgico, che conduce poi all’accesso delle specialità chirurgiche.
  3. ACUTE CARE COMMON STEM, propedeutico a specialità quali medicina d’urgenza, anestesia e rianimazione.

Una volta completati questi ulteriori 2-3 anni, si procede poi alla scelta finale. Solo allora si potrà accedere alla branca desiderata e ci si specializzerà nell’ambito di interesse.

In media quindi si completa il percorso di training in circa 10 anni, rispetto ai 5 che vengono richiesti in Italia.

Oltre alla già menzionata difformità nella struttura e nella durata del percorso, quello che mi colpisce maggiormente è la differenza con cui gli specializzandi italiani ed inglesi affrontano il loro percorso.

In Italia gli specializzandi intraprendono con passione il loro percorso di formazione, ma non vedono l’ora di diventare specialisti. Nell’opinione comune lo studio universitario con l’aggiunta degli anni di formazione specialistica rappresentano già un percorso di lunghezza considerevole.

In Inghilterra invece, è normale prendersi degli anni di pausa dal training per fare un dottorato, un master, un’esperienza all’estero, o semplicemente perché in quel frangente si preferisce fare quella scelta. E’ altrettanto frequente vedere molti medici cambiare tipo di percorso in itinere e, successivamente, non essere soddisfatti e cambiare ancora. Non stupisce quindi vedere molti medici che con serenità impiegano anche molto più di 10 anni a concludere la specializzazione.

Ho cercato in questi primi mesi di esperienza di riflettere sulle ragioni significative di questo diverso approccio alla specialità.

Io credo di averne identificate due in particolare.

In primo luogo lo specializzando in Italia non è un dipendente dell’ospedale in cui lavora, ma assegnatario di una borsa di specializzazione finanziata a livello statale o regionale. Il giovane medico, nel percorso di formazione specialistica, è ancora affiliato all’Università, per cui deve sostenere annualmente delle tasse universitarie che possono ammontare fino a 2000 euro.

In Inghilterra invece fin dal primo anno di Foundation Programme si è dipendenti dell’ospedale, si ha un contratto a tutti gli effetti simile a quello di tutti gli altri professionisti ospedalieri e non si ha la necessità di pagare tasse universitarie. Il percorso di specialità inglese è ben retribuito, con uno stipendio che cresce gradualmente in base al livello di formazione.

Infine, lo specializzando in Italia ha la possibilità apprendere in un ambiente protetto. Nella pratica quotidiana può contare sulla supervisione dello specialista nella gestione dei pazienti, nella prescrizione dei farmaci ed anche durante i turni notturni o nelle guardie. La firma del medico specializzando italiano deve sempre essere affiancata da quella del tutor.

Oltre la Manica invece la situazione è diametralmente opposta: l’indipendenza del giovane medico inglese è enorme fin dal primo giorno di lavoro. La filosofia del percorso di specialità inglese è paragonabile al metodo darwiniano di quei padri che decidono di insegnare ai figli a nuotare buttandoli in acqua senza salvagente. Gli specializzandi inglesi imparano davvero ad essere medici quando, al primo anno, sono lasciati a fare le notti da soli coprendo 4 reparti. L’autonomia e le responsabilità crescono esponenzialmente durante il percorso di specialità raggiungendo picchi che in Italia sarebbero impensabili. Basti pensare che la notte, i medici più anziani presenti in ospedale fisicamente sono gli specializzandi degli ultimi anni. Certo, si parla di un percorso più lungo, quindi sono medici con almeno 5 anni di esperienza, ma a me colpisce sempre vedere la maggior parte dei medici di guardia la notte avere meno di 35 anni. Avere grandi responsabilità crea da un lato molta ansia, ma dall’altro porta ad una grande soddisfazione e realizzazione personale.

Facendo riferimento alla mia esperienza personale posso dire che appena sono stata buttata in acqua ho annaspato, in alcuni momenti sono finita sott’acqua bevendone un po’. Giocoforza ho iniziato a muovere forsennatamente braccia e gambe e a sollevare la testa respirando fuori dal “mare”. Faccio ancora fatica a nuotare con sicurezza, ma ho imparato a galleggiare e per ora questo mi basta.

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